La folla non cambia le cose, l’individuo si.

Le folle non sono mai assetate di verità, soprattutto quelle “elettorali”. “Chiunque illude le folle –diceva Le Bon- diventa il loro padrone. Chiunque tenta di disilluderle diventa la loro vittima”. Ecco che come sempre si torna a parlare di cambiamento. Non importa se a parlarne sono anche coloro che hanno fatto parte del “vecchio” in passate amministrazioni o che sono addirittura in carica. Anzi è meglio, perché in realtà alla folla non piace cambiare. Essa ama solo l’illusione del cambiamento perché cambiare costa fatica, responsabilità individuale, impegno in prima persona per il miglioramento della società. Perciò una grossa massa tende ad eclissarsi per quattro anni e nove mesi per poi ricomparire a tre mesi dalle elezioni con grandi propositi, con il pieno di entusiasmo ed una visione luminosa del futuro. Le case si cominciano dalle fondamenta ma a parecchi piacciono i tetti; sarà per questo che i programmi escono sempre più tardi. Prima ci si trova in tanti a dire che bisogna cambiare, a convincersi che questa è la volta buona, a parlare male di quelli di prima -che confluiscono sempre in quelli di ora- ma sul concreto la visione è torba. Formare un programma approfondito senza paura di esporlo significa aver lavorato negli anni precedenti, ed è pericoloso per un elettore leggerlo perché può stimolare gravi momenti di calma per ragionare. Non sia mai! Non è tale la regola per ottenere i consensi della folla elettorale, questa è roba da individui. I consensi si ottengono con l’irrazionalità, con gli impulsi emotivi, con lo show. Conta l’intrattenimento, magari con una bibita altrimenti un po’ di gente non ci viene a sentire discorsi sul suo futuro. Come ogni show che si rispetti ci vuole un presentatore sgargiante e magari la musica perché bisogna emozionare il pubblico. Non è sbagliata la musica, anzi, e non si vuole denigrare i validi presentatori che fanno bene il loro lavoro. E’ sempre stato così, tranne eccezioni non calcolate. E come è piacevole sentirsi coccolati per quei tre mesi, come è bello incrociare il sorriso spassionato dei candidati che ti fanno capire che da ora in poi sarà diverso, che loro saranno diversi, più aperti ed inclusivi. “Stavolta cambierà –si dice colui che è finito nella folla- stavolta non mi sentirò tradito, finalmente”. Poi la folla tornerà nel sonno lamentandosi ogni tanto, sbuffando nervosamente per i postumi dell’ubriacatura elettorale. Molti si chiederanno, per l’ennesima volta, come abbiano fatto a cascarci e così via in un circolo apparentemente senza fine. Tuttavia qualche voce fuori campo arriva e qualcuno dalla mischia se ne accorge. Sono inviti pericolosi, ad uscire dal trambusto per trovare rifugio in angoli di calma interiore. Chi risponde a tali inviti non è più un buon appositore di “X” ma un individuo che vede le cose con imparzialità, formandosi un’idea da solo. Egli diventa un nemico, la famosa eccezione che raramente ha la meglio cambiando la storia. Se alle voci fuori campo rispondono in diversi diventa possibile rompere l’incantesimo ed uscire dal circolo vizioso. Un amico è colui che ti dice le cose come stanno anche se non vuoi sentirle, anche se poi ti arrabbi. Ecco, ci vorrebbe uno che all’occorrenza ti desse uno schiaffo nel muso per farti ripigliare. Senza, però, che egli diventi una vittima. Il cambiamento non è mai determinato da una “X” su un foglio; sarebbe troppo facile. Invece dell’illusione del “Partito unico” diventa l’eccezione, scegli il disinganno cambiando la storia.

In attesa della lista mancante buon proseguimento di serata.

Gli agricoltori manifestano anche sull’Amiata.

Si è svolta giovedì 22 febbraio la manifestazione degli agricoltori ad Abbadia San Salvatore. L’agricoltura è centrale -non marginale- per l’Amiata, per l’Italia e per il mondo. Abbiamo bisogno degli agricoltori, soprattutto delle piccole e medie aziende agricole per un cibo di qualità che provenga da vicino e per tutelare l’ambiente. Infatti per la sopravvivenza umana non possiamo fare a meno di intervenire sull’ambiente attraverso le coltivazioni. E’ bene quindi che lo si faccia con esperienza grazie a chi lo conosce, seguendo il solco di una cultura -e di un’economia- ben integrate in esso. I nuovi OGM, il cibo da laboratorio ed altre minacce non rappresentano una soluzione ma un problema per la natura. Sull’Amiata abbiamo realtà agricole preziose per ciò che fanno, aiutate da una montagna ricca di risorse, strategica; a cominciare dal suo micro-clima e dalla sua acqua. Nel futuro il nostro territorio sarà protagonista con prodotti eccezionali che emergeranno. Per questo e per mille altri motivi dobbiamo ascoltare le istanze del mondo agricolo in tutto il Paese, che in gran parte sono le istanze di chi ha una piccola impresa in altri settori. Non è possibile penalizzare, tradire i settori che reggono l’economia creando un benessere che ovunque ci ammirano. Non è possibile che troppi agricoltori pensino di chiudere l’azienda perché devono vendere sotto costo mentre si favoriscono prodotti esteri qualitativamente peggiori, sovente inquinati da veleni fortunatamente vietati in Italia. Prodotti venduti a prezzi bassi a causa per esempio di colture intensive d’oltreoceano o dello sfruttamento di manodopera senza diritti. Un buon futuro dipende da una buona agricoltura –come da buoni allevamenti- senza la quale saremmo costretti a mangiare male inquinando di più, checché ne dica la propaganda. E’ auspicabile inoltre una sburocratizzazione del settore così come, nella nostra realtà, un Assessorato finalmente dedicato ad Ambiente e Agricoltura. Interamente. Grazie a quelli che c’erano e a coloro che non c’erano ma vogliono venire la prossima volta, a chi ci ha sostenuto anche solo con un applauso o con una foto. Grazie inoltre alle Forze dell’ordine, alla polizia municipale per la collaborazione ed ai giornalisti presenti. Non molliamo. Viva gli agricoltori, dell’Amiata e di tutta Italia.

INNO ALL’ERESIA

-Di Antonio Pacini-

L’Eresia non è altro che la vita che sceglie la libertà. La sceglie ad ogni costo. Piuttosto che annullarsi va incontro alle più violente conseguenze, ma si compie, fatalmente. Gli uomini hanno da millenni paura della vita, di lasciarsi trasportare con fiducia dal flusso cosmico che permette ogni cosa che abbia energia interna. Questa paura ancora da comprendere li porta a crearsi una illusione di equilibrio resa tale solo da una stabilità nevrotica. Per questo gli uomini odiano profondamente chi tra loro minaccia la loro debole stabilità mostrandogli la meraviglia che hanno barattato con un surrogato di vita, solo per paura. I pochi che comunicano il linguaggio della Natura creano instabilità emotiva, risvegliano fremiti al corpo sopiti, mettono a disagio i caratteri ben costruiti dalle esigenze contingenti. Questi uomini e queste donne sono pericolosi perché accompagnano gli altri a fare i conti con loro stessi, a incontrarsi con la loro condizione misera e meschina. Per questo tali uomini e tali donne devono morire. Contro di loro si sprigiona l’odio celato nei sorrisi e nelle buone maniere contingenti dei piccoli uomini -che avevano evitato astutamente di imbattersi nel marcio di loro stessi- nella vernice di civiltà che ricopre brutalità non accettate ed espresse subdolamente; questi personaggi devastano la finta calma dell’uomo socialmente inserito con la sua onorabilità e cortesia, ipocrita e interessata. Adesso però il rumore è aumentato per non sentirli, la calma apparente sta mostrando il suo vero volto spigoloso dagli occhi iniettati di sangue, la maschera sta cadendo e per questo gli ambasciatori della vita non devono parlare. “Vanno zittiti”, silenziati, calunniati e se continuano vanno imprigionati, torturati, rinchiusi o sottoposti a TSO. Non deve diffondersi il pericoloso balsamo della vita che fa innamorare la gente rendendola libera e incontrollabile. No! Sono una minaccia alla democrazia, vanno fatte leggi a tutela della salute e della verità imposta che loro contestano con la loro stessa esistenza. Dobbiamo tutelare la democrazia togliendo la libertà del singolo perché non sa usarla come vogliono i buoni tutori, dobbiamo reprimere chi mette dubbi sulla verità assoluta! Ed è così che si continuano a punire i liberatori e a premiare gli illusori, a crocefiggere i Gesù e a librare i Barabba. E’ così che donne sapienti e iniziate ai Misteri sono state bruciate, come i Giordano Bruno e l’infinita schiera di “Eretici”, cioè di pericolosi criminali. E’ così che oggi si incarcerano gli Assange e si danno premi Nobel per la pace a guerrafondai, che si fanno morire prematuramente i coraggiosi scopritori del piano malvagio dell’Entità oscura che manovra le menti e i cuori dei “buoni” di tutta la terra. Gli eterni innocenti dicono di non poterci fare niente per la situazione com’è e si sentono autorizzati a cadere nell’indifferenza e nell’istupidimento, esternando sempre i problemi senza affrontarli dentro sé stessi. Un modo per non essere delinquenti più o meno consapevoli c’è: smetterla di essere ipocriti scoprendo la falsità individuale, smascherando tutto e soprattutto schierarsi con gli Eretici –che non significa ammazzarli per poi celebrarli. Per questo l’Eresia deve essere pronunciata, accolta, gridata e coltivata. Sia lode a colui che da solo dice che il mondo non è piatto venendo ricoperto di accuse e condannato, sia lode a colui che diffonde notizie dei criminali e per questo viene da essi incriminato, sia lode a chi si oppose alla schiavitù e per questo venne emarginato da tutti come chi propose energia gratuita e rinnovabile che morì in circostanze misteriose. Le loro idee ci sorreggono. Sia invece smascherata e destituita la finta “scienza” ufficiale, quella dei novelli Lombroso, degli ottusi che sostenevano la centralità della terra nell’universo o che le conchiglie sulle montagne ce le portavano i pellegrini mentre chi diceva che fosse dovuto alla tettonica veniva scomunicato. Oggi come allora ci sono persone che affermano che la terra non è piatta e tutti gridano allo scandalo, i sostenitori della semplice verità sono fatti passare da “eretici” grazie all’apparato della disinformazione; ma non possiamo permettere che si perpetui l’errore in eterno. I Giordano Bruno non devono essere eternamente torturati e messi al rogo, fatti morire da soli in camere di albergo in circostanze non chiarite o in carceri americane. Devono invece essere liberati grazie al riconoscimento del Grande Male interno che ci anima da seimila anni. Se vinciamo la guerra con noi stessi il potere dei finti buoni si dissolverà e capiremo l’importanza assoluta della vita con la gioia che può dare se siamo aperti al suo flusso cosmico. La prigione siamo noi impauriti, la libertà siamo noi coraggiosi. A morte i nostri interni Mocenigo e lunga vita ai Giordano Bruno in attesa di essere scoperti nel profondo di noi stessi. Sarà così che i falsi profeti cadranno senza bisogno di ucciderli per sostituirli con altri, sarà così che il Regno promesso non scenderà dal cielo ma si manifesterà dopo tanti tumulti interni originatesi nelle più oscure profondità del cuore.

“Verrà un giorno in cui l’uomo si sveglierà dall’oblio e finalmente comprenderà chi è veramente e a chi ha ceduto le redini della sua esistenza: a una mente fallace, menzognera, che lo rende e lo tiene schiavo. L’uomo non ha limiti e quando un giorno se ne renderà conto, sarà libero anche qui in questo mondo

Non so quando, ma so che in tanti siamo venuti in questo secolo per sviluppare arti e scienze, porre i semi della nuova cultura che fiorirà, inattesa, improvvisa, proprio quando il potere si illuderà di avere vinto”

Giordano Bruno

Vieni Eresia, con tutta la tua forza

Che il tuo impeto sia così potente

Da travolgere per sempre ogni tentativo di oppressione

Fino all’affermazione di un nuovo mondo

Dove l’amore cosmico diventi sovrano anche nelle pulsioni umane

Dove tu non possa più essere Eresia,

ma verità accettata completamente senza resistenze

e senza la malattia

che ora ti combatte

La vera potenza delle Fiaccole

Le Fiaccole sono un rito potente perché recano in se secoli, forse millenni di storia. Una replicazione continua, anno dopo anno, dello stesso rito le rendono capaci di sprigionare sentimenti forti, di rivelare segreti. Per questo siamo responsabili della loro perpetuazione. E’ un lavoro di osservazione e di impegno perché la modernità ha tante insidie e può sottrarre, a certe menti, il messaggio della Tradizione. Nelle seguenti righe parliamo anche di tale potenza. Se si compiono degli errori dobbiamo ripararli, non ripeterli l’anno successivo e per far ciò è necessario porre attenzione e rigore. La dimensione delle Fiaccole è quella Sacra; tale è il segreto del loro successo. Fuori da essa non si va da nessuna parte. Ci siamo dimostrati all’altezza dell’arduo compito, ma ci sono delle crepe che vanno circoscritte e sanate.

Anche quest’anno la Tradizione è stata perpetuata. Un evento così antico incastonato nella modernità ha i suoi rischi perché potrebbe venire indebolito nel suo significato profondo. Stiamo reggendo, ma sarebbe sciocco non osservare alcune crepe che non devono allargarsi ma essere sanate. Innanzitutto dobbiamo ragionare sul fatto che le Fiaccole non sono un prodotto turistico e che le facciamo col cuore senza rispondere alla logica del vendere. Il turismo è solo una lieta conseguenza. Le Fiaccole non si vendono ed alle Fiaccole non si vende perché il loro spirito è generoso, altruista, accogliente e comunitario. E’ opportuno ricordarsi sempre che per il vin brulè ed il resto si fa l’offerta e non c’è un prezzo. Così deve rimanere. Certamente c’è chi se ne approfitta ma i fiaccolai sanno che non possono rovinare la magia della serata per colpa di migragnosi che fanno i furbetti. Per fortuna tutti i gruppi di fiaccolai rientrano almeno nelle spese e ciò ci basta, anche se la vera ricchezza, quella umana, dovrebbe essere sostenuta molto di più -non con l’offerta- da chi è preposto. Ma lasciamo stare l’argomento perché già altri, recentemente, hanno inquadrato benissimo la situazione a mezzo fb. Altra crepa da delimitare è l’avvenuta distribuzione di carne prima della mezzanotte, fortunatamente in casi isolatissimi. Questa azione va fuori anche dalla generale tradizione di Vigilia, ma la Tradizione badenga è sopravvissuta nei secoli proprio perché osservante di tutto ciò che vuol dire “Vigilia”. Se venisse meno lo spirito di Vigilia verrebbero meno anche le Fiaccole con la loro forza, che è il motivo del loro successo. Credo che ci sia modo per tutelare tali aspetti della Festa affinché certe cose non accadano. Sulla costruzione abbiamo visto quasi ovunque esperienza e volontà dei fiaccolai di essere tradizionali ma c’è stata anche la minaccia dei bracci meccanici utilizzati, fortunatamente, in casi rarissimi. Il braccio meccanico serve per caricare la legna ma non per edificare una Fiaccola più alta o per faticare di meno. Già che la “Fiaccola del Comune” venga in genere costruita con tali strumenti la dice lunga. Quest’anno non so se sia stata fatta a mano o meno ma ad ogni modo sarebbe meglio farla edificare da un gruppo di fiaccolai che garantiscano il solo utilizzo delle proprie braccia e che sentano il vero spirito della Festa. Ovviamente con tutto il rispetto per i bravi operai visto che sfortunatamente non sono loro a prendere certe decisioni. Stiamo parlando della Fiaccola considerata principale, purtroppo, che dovrebbe rappresentare l’esempio a cui ispirarsi. Dico “purtroppo” perché la Fiaccola principale, ad essere accesa per prima, secondo me non dovrebbe essere quella del Municipio ma quella del Monastero. La nostra ricorrenza è religiosa e, più ancora, Sacra. Essendo l’accensione una cerimonia Sacra deve essere svolta nel polo Spirituale della Comunità -non in quello “temporale”- ed essere officiata da colui che è investito per questo: il Sacerdote. Al momento il Sacerdote appare alla pari ma sarebbe più corretto dire che si trova un passo indietro rispetto ad altre Istituzioni. Ciò è una debolezza da sanare, forse la più grande anche se non ci si è fatto abbastanza caso. Il Sindaco e le altre Autorità devono essere presenti alla Cerimonia, ma appunto come presenza, senza invasioni nel campo altrui. Non sono certo loro i protagonisti. Mi riferisco a qualsiasi Sindaco del futuro, non è certo una questione personale. Le Istituzioni non religiose devono presenziare al Rito da una parte, diciamo in prima fila, ma non sono loro ad essere investite delle funzioni Sacre che il momento richiede. Non sta a loro nemmeno il fatto di occupare la maggior parte del tempo. L’accensione deve continuare ad avvenire anche ad opera di un fiaccolaio, senza passamano imbarazzanti di Presidenti della Regione. Giani ci stava come il cavolo a merenda. Egli non rappresenta nessun tramite, quindi non ci incastra niente in quel contesto. Anche i suoi successori se vorranno venire dovranno venire come presenza ma mai come officianti. Il rischio che le Fiaccole vengano politicizzate o strumentalizzate è concreto; non dobbiamo permetterlo. Ci sarebbero altri aspetti da osservare ma meno importanti di quelli suddetti. Ne riparleremo. Le Fiaccole devono permanere nella loro dimensione, pertanto la sfida è osservare ciò che avviene affinché non cambino gli equilibri che le sorreggono. Ogni tentativo di uscire dal solco della Tradizione sarebbe nefasto, infruttuoso. E’ auspicabile una tutela da parte della Comunità ancora maggiore di prima perché è essa il vero garante, che le farà ardere almeno per tanti secoli ancora. La garanzia più grande, manco a dirlo, non è chi si mette in vetrina ma sono i fiaccolai, quelli veri. Cari fiaccolai tenete duro, continuate così, continuiamo a fare le Fiaccole con lo spirito millenario neutralizzando ogni seduzione che vuole trascinarle fuori dall’eterno per paralizzarle nel contingente. Esse sono un Rito che fa esplodere una gioia magica dovuta proprio a tale potenza, che va oltre il tempo presente per abbracciare i millenni. Fuori da tale dimensione perderebbero il loro significato, verrebbero ridotte a festicciola di paese senza nessuna forza. Invece la forza ce l’hanno tanta. Il momento con le sue influenze circoscritte non deve nemmeno scalfirle perché l’effimero passa, ogni piccolo personaggio scompare nel nulla, mentre loro restano. Il silenzio, la solennità e la contemplazione sono gli attori della Cerimonia di accensione, senza troppe interferenze e -non sia mai- strumentalizzazioni. Può sembrare antipatico ma c’è bisogno di rigore per salvaguardare l’Antica Tradizione. E’ un impegno di ognuno di noi. Come sempre “la luce splende nelle tenebre”. Ora e sempre Viva le Fiaccole.

Antonio Pacini

Giani alle fiaccole? Evvai!

Caro signor Giani,

Mi dicono che vuole venire anche quest’anno ad Abbadia San Salvatore a presenziare per le Fiaccole, la nostra Tradizione. Non so se sia vero ma è bello sapere di avere un presidente così attento all’Amiata, con tutte quelle foto delle nostre zone che posta su fb -così mi riferiscono. Del resto noi siamo sempre felici dell’attenzione che la Regione Toscana ci riserva, dagli efficienti collegamenti stradali, alla sicurezza invidiabile, alla discarica che ci consente di pagare una Tari bassa, all’acqua che diamo a tutti e che infatti paghiamo una sciocchezza. Tutti aspetti per i quali in Regione ci aiutate veramente molto. Ma soprattutto siamo contenti per le foto che posta lei, su quelle c’è una grande efficienza. E poi c’è il nostro fiore all’occhiello: la geotermia che ci fa tanto bene alla salute e che ci ha reso ricchi, attraenti. Per noi il fatto che venga sfruttata l’Amiata per il bene della Toscana è bellissimo. Soprattutto perché ne veniamo ricompensati a dovere. Con lei alla guida che posta le foto non tremiamo, non siamo mai soli perché sappiamo di avere uno competente dalla nostra parte, che rappresenta le nostre istanze affinché anche noi amiatini possiamo sentirci cittadini di serie A. E’ bello sapere che forse anche quest’anno passerà la Vigilia ad Abbadia; non aspettavamo altro. Venga pure a mangiare le salsicce e non si perda la cerimonia di accensione. Conosciamo il suo impegno a partecipare alle cerimonie, per questo faccia lo sforzo di venire anche alla nostra. Una cerimonia che da religiosa sta diventando politica. Finalmente. Molti miei concittadini saranno pronti ad applaudirla, basta che poi posterà le foto su fb. Un bell’autoscatto e siamo tutti contenti. Come sa può fare ciò che vuole, tanto potrà sempre contare su di noi che la voteremo e l’applaudiremo ostinatamente, qualsiasi cosa accada. La aspettiamo onorati dell’egregio lavoro che lei e la sua squadra state svolgendo per la nostra zona.

Saluti dalla Toscana del sud.

Antonio Pacini

*Copertina: pensando di fare cosa gradita allego l’immagine di Casa Savoia, visto un suo recente incontro con un membro di tale dinastia davanti al suo stemma.

In un mondo che tende all’idiozia accendere la stufa è un atto rivoluzionario

Nel tempo dell’inganno universale, scriveva George Orwell, dire la verità è un atto rivoluzionario. La stufa è come la verità in un mondo di inganno, una luce in mezzo alle tenebre, un calore sano ad allontanare il freddo artifizio del green. La stufa è poesia, semplicità, Tradizione, arte di cuocere. Con la stufa ti salvi. I sapori creati dalla cottura dei cibi in essa sono diversi, il tepore sprigionato da essa è diverso, più sano. Soprattutto l’atmosfera dovuta alla legna che scoppietta, al suo profumo e poi all’aria ionizzata dalla pentola di acqua calda che ci si mette sopra è un’aria confortante, ricostituente. Ma nel tempo dell’inganno universale la colpa è sua, perché è un simbolo della resistenza all’idiozia dilagante. Hanno detto che inquina, che va regolamentata, censita, tassata, colpevolizzando chi l’accende, facendolo passare per poco green. L’attacco al focolare è un attacco alla bellezza, all’economia domestica, alla libertà di scaldarsi senza troppi soldi. Ecco il vero motivo per cui ce l’hanno con lei. E’ questo il motivo per cui la stufa a legna fa paura, perché con lei in casa consumi meno gas, meno pellet, sei più autonomo. Lei non ti inganna. Chi sono quelli che ti inducono a farti pensare che inquini, che sei il male del mondo, che sei un debito per il pianeta perché ti scaldi alla buona nella tua casetta? Sono signori che appartengono alla categoria dell’1% della popolazione mondiale che da studi inquinano a livello di gas serra quanto il restante 99% in 1500 anni (rapporto oxfam 2019). Tra questi c’è gente che con l’aereo privato va alle conferenze sull’economia a stabilire quanto inquini con la tua casa -che vuole tassarti per poi togliertela. Farebbe ridere se non ci fosse una massa ovina ad andargli dietro. Influenzano l’Agenda 2030 facendola presentare agli utili idioti nei parlamenti, propagandandola attraverso i media di loro proprietà, attraverso i partiti sovvenzionati dall’1% e quindi manovrati. E noi, comuni accenditori di stufa, dovremmo ascoltare questa voce sgraziata? Anche no. Esistono piccoli opportunisti che oggi parlano con i loro concetti, che si fanno paladini contro il cambiamento climatico, favorevoli a tutto ciò che vuole il padrone, dall’auto elettrica alle finte rinnovabili utili solo per le speculazioni. Intanto la natura si sta incazzando veramente ma non vogliono colpe, anzi loro sono i salvatori mentre il piccolo cittadino spremuto come un limone è il cattivo. Ogni altro cittadino spremuto viene rincoglionito dalla propaganda per pensare che il colpevole sia il suo simile, o addirittura lui stesso che non fa bene la raccolta differenziata e che va a giro col pandino. Infatti fioccano multe per il piccolo trasgressore che va a farsi un po’ di legna secca o che magari taglia un ramo nella sua proprietà senza il mitico permesso, mentre il vero distruttore dei boschi in genere è accolto in pompa magna -a lui tutto è permesso. Il cittadino rimbecillito non deve sapere la differenza tra prelevare un po’ di legna secca per il proprio sostentamento e devastare un bosco, non deve arrivare a paragonare la famigerata CO2 immagazzinata negli alberi adulti con quella che consuma lui con quattro pezzòli, evitando oltretutto di consumare il gas. Però se lo beccano a farsi un po’ di legna diventa un criminale spiattellato sul giornale di regime, additato da tutto l’ovile. La stufa va accesa come atto politico, a questo punto. Va accesa alla faccia di chi vuole un censimento dei camini e che ne propone una tassazione. In regione Toscana abbiamo un uomo all’avanguardia, un vero genio che si presenta davanti a una casa dove ci scorre davanti un fiume in piena causato da una recente alluvione. Quest’uomo dice che dobbiamo renderci conto di cosa sono i cambiamenti climatici. Non entriamo nel merito di quell’evento in particolare ma la causa delle catastrofi spesso si chiama incuria del territorio, altro che cambiamento climatico. Inoltre certe politiche di gestione sono anacronistiche, incompatibili con le sfide del futuro. Troppo semplice addossare le colpe ai massimi sistemi per distogliere lo sguardo da ciò che forse si sarebbe potuto fare e magari non si è fatto per evitare i disastri. Naturalmente non ci riferiamo al genio in questione ma si rende conto il nostro eroe quanta CO2 consumano le rinnovabilissime centrali geotermiche del Monte Amiata, per esempio? Non parliamo del loro consumo idrico. E vogliono fare la morale a qualcuno? Ricordiamoci che in alcuni Paesi si sta discutendo sulla proposta di mettere un copyright ai semi, così da non poter coltivare l’orto senza pagare i diritti della vita ad una multinazionale. Vogliono fare la stessa cosa anche con la materia con cui ci scaldiamo? Non scordiamoci nemmeno che dalle parti di Bruxelles dicono che la dieta mediterranea è pericolosa e che il vino nuoce alla salute, oppure che non è opportuno parlare di “Maria” o di “Natale”. Si propone di vietare di coltivare il grano in determinate zone mentre gli insetti negli alimenti sono un toccasana, come la carne sintetica. Sono essi, dunque, che ci fanno la morale. Sono tra coloro che promuovono le peggiori guerre, ben poco ecologiche, foraggiando l’industria delle armi. Quanto inquina una sola bomba? Probabilmente più di quanto un cittadino possa fare con la sua macchinetta in dieci vite, ma all’industria delle armi vanno giornalmente milioni e milioni. Questi personaggi sono solo i camerieri -senza offesa per la professione- dell’1%. Nel tempo dell’inganno universale non possiamo fare altro che cercare la voce che possa disilluderci, per quanto doloroso possa essere sentirsi per la prima volta degli stupidi che hanno creduto a delle assurdità. Certo i boschi si tagliano anche per sopperire al fabbisogno di legna da ardere, ma forse invece che grandi estensioni di tagli per esportare bisognerebbe tagliare estensioni minori per far rimanere le risorse sui territori. Si potrebbero eseguire più diradamenti e meno tagli rasi per lasciare un po’ di legna anche ai nostri figli, magari. Forse sarebbe questa la vera svolta ecologica. I problemi rimarrebbero enormi ma non insormontabili dato che qualcuno delle vie evolutive ce le ha mostrate, ma sarebbero troppo benefiche per tutti e non per il profitto di pochi. Meglio fare finta che le soluzioni siano le false rinnovabili o la limitazione dei focolari domestici. Nessun senso di colpa deve esserci nell’accendere il camino ma solo consapevolezza di essere tra quelli che, forse, salveranno la nostra specie dalla stupidità. A volte la rivoluzione è conservativa, infatti vinceremo andando a fare i seccarelli -chi può- coltivando l’orto con i semi di tutta l’umanità e non dell’1%, conducendo una dieta in cui l’olio di oliva sia il Re indiscusso annaffiata da un buon rosso ogni tanto. Per i più audaci è consigliabile anche un’Ave Maria in latino prima di andare a dormire, tanto per far contorcere qualche demone che vorrebbe l’inglese come neolingua. Tutto intorno al “caldo buono” del focolare -come lo descriveva Ungaretti. La stufa è pericolosa perché intorno ad essa puoi pensare e renderti conto di come il mondo tenda all’idiozia, spesso ammantata di green. Stare in sua compagnia è un modo per essere ciò che l’1% teme di più: autonomo e felice.

Antonio Pacini

Il vero nemico, finalmente.

Ogni anno scompaiono in Italia centinaia di bambini, senza essere ritrovati. E’ un’emergenza? No perché non ne discorrono in tv. Se ne parlassero magari potremmo fare il solito piantino, appassionarci delle inchieste, seguire i programmi dedicati in prima serata. Però lo potremmo fare solo con un caso, degli altri chissene frega. Si perché abbiamo bisogno di un solo caso per affezionarci, non si può piangere per tutta questa gente. E’ lo stesso discorso che vale per l’uccisione delle donne. Soprattutto ci vuole un nemico di cui avere paura, da odiare. Sfogliando l’agenda tra i nemici troviamo: gli albanesi, i terroristi islamici (non esistono più?), i novax, Putin e finalmente… il patriarcato. Eccolo il nemico. Stavolta è quello giusto, me lo sento. Tutti col fiato sospeso come se fosse un film ad aspettare i risvolti del singolo caso che passa la tv, la quale obbedisce alla scelta della tragedia più adatta per indirizzare il nostro sguardo. Chi ci pensa più che in Palestina, nel frattempo, un governo terrorista sta trucidando migliaia di bambini e di innocenti? Inoltre non ci si può affezionare a loro perché a morire sono troppi. E poi chi decreta la pulizia etnica è un nostro superiore, quindi ha le sue ragioni. Dobbiamo indirizzare le nostre lacrime a qualcun altro, condannare qualcosa di più comodo. Se nell’agenda ci fosse la sparizione di questi minori chi sarebbe il nemico? Non sarebbe di certo un nemico di comodo perché troppo potente ed organizzato; forse ci faremmo delle domande angoscianti sul traffico di organi e sui riti satanici compresi omicidi rituali sui bambini. Meglio non prenderne coscienza, non pensare alla fine orrenda che potrebbero fare questi infanti. Così si diventa complici degli assassini ma almeno si dorme la notte. Si potrebbe salvare qualcuno scomodandosi ma è meglio liquidare la questione con una bella giornata contro la scomparsa dei minori, peraltro passata in sordina. Si prosegue con quelle sulla violenza sulle donne, sugli alberi che poi massacriamo, sui nonni che la società non vede l’ora che crepino, sugli olocausti ma solo su quelli convenienti. Ci si appunta una bella spilla e via. L’importante è dimenticarsi del nemico di ieri, anzi ricordarsi che il nemico di ieri è quello che propone l’agenda di oggi. E’ sempre stato lui e nessuno deve metterlo in dubbio, nessuno deve farsi domande angoscianti. Più ebete sei meglio stai. L’importante è odiare.
Buon giorno, società malata.

Antonio Pacini

Cosa è un Rifugio Naturalistico?

Si riportano di seguito i contenuti del Protocollo di Adesione ai Rifugi Naturalistici a cura del Comitato Parchi Internazionale, così da rendere un’idea il più dettagliata possibile di cosa sono. Si consiglia altresì di visitare il sito “rifugiamiata.it

1.- Il Rifugio Naturalistico è un’Area delimitata, ben conservata e condotta, significativa sul piano culturale, storico, paesaggistico, naturalistico ed ecologico, comprendente anche realtà architettoniche e produttive, in cui la Proprietà decide autonomamente e liberamente di proteggere in modo efficace la biodiversità e i valori emergenti, per costituire un modello di armonica convivenza con la Natura, in tutte le sue espressioni e manifestazioni.

2.- Il modello di Rifugio Naturalistico è stato instaurato per iniziativa del Comitato Parchi Nazionali nell’anno 1997, e poi sviluppato come “Sistema territoriale” a livello nazionale e internazionale, assumendo come esempio il Giardino di Ninfa, dove Natura e Storia coesistono in modo mirabile: unendo l’attenta tutela alla conduzione sensibile, garantendone il godimento attuale e futuro, e assicurandone un uso sostenibile, durevole e compatibile.

3.- Il Rifugio Naturalistico può essere suddiviso in Zone, ovvero parti a diversa destinazione, e quindi a diverso grado di tutela, seguendo il criterio della Zonazione, ispirato alle Aree Protette più avanzate, e riconosciuto nell’anno 2004 come “pratica virtuosa” dalle Organizzazioni Internazionali, e in particolare dall’UICN (Unione Mondiale per la Natura). La Zonazione può essere a cerchi concentrici, o a scala decrescente, partendo dalla Zona A di massima tutela (Riserva Integrale), e dalla Zona B di salvaguardia (Riserva Generale), che costituiscono il Cuore del Rifugio (Core Area), fino alla Zona C di Protezione (Transition Area). Tali Zone sono circondate dalla Zona Esterna (Area Contigua, Buffer Zone), una vera e propria “fascia verde” in connessione funzionale

4.- Le attività ordinarie in corso continuano normalmente, assicurando attenzione ad evitare intromissioni dannose, provvedendo a eventuali miglioramenti ecologici, seguendo adeguati criteri di manutenzione e restauro, e adottando le più idonee pratiche agro-silvo-pastorali, con tendenza all’agricoltura biologica e biodinamica.

5.- Sulla segnaletica, oltre alla qualifica di “Rifugio Naturalistico”, è opportuna la dicitura “Qui la Natura è protetta”, cui seguono la Denominazione (o il Toponimo) e il Logo dell’Area, con il Logo del Comitato Parchi a dimostrazione della sua certificazione. Gli stessi segni distintivi possono figurare su Carta intestata, Pubblicazioni, Adesivi e Immagini. Il Logo del Rifugio può assumere il valore e il significato di provenienza e garanzia per tutti i prodotti, i servizi e le attività dell’Impresa, sia come Azienda agro-ecologica, sia come Operatore eco-turistico. Il Logo può essere eventualmente registrato come Marchio, informandone il Comitato Parchi.

6.- La visita individuale o di gruppo, libera o guidata, gratuita o con biglietto, può essere consentita nei tempi e nei modi stabiliti dalla Proprietà, che ne informa il Comitato Parchi. E’ consigliabile prevedere adeguata segnaletica, e ove occorresse anche un Chiosco di informazione sulla Natura e sui Prodotti Naturali, con eventuale Banco dimostrativo o Punto vendita.

7.- Il Rifugio può svolgere attività di Educazione e Interpretazione ambientale, per giovani e meno giovani, promuovere ricerche e organizzare Eventi culturali a carattere naturalistico, artistico e musicale, in cui divulgare la conoscenza e la fruizione corretta del territorio circostante, e in particolare di Parchi, Villaggi, Monumenti, Musei, Aree Faunistiche e via dicendo.

8.- L’Adesione al “Sistema territoriale” dei Rifugi Naturalistici va dichiarata dalla Proprietà (titolari, eventuali possessori e detentori, usufruttuari, locatari o comodatari), con la sottoscrizione del Protocollo ufficiale, allegando una sintetica descrizione e mappa, con immagini illustrative e specifiche tecniche. L’Adesione è libera e gratuita. Nel caso vengano effettuate volontariamente offerte o donazioni di sostegno al Sistema, ne viene rilasciata regolare ricevuta, con la conferma che saranno destinate esclusivamente alle finalità primarie dei Rifugi Naturalistici (promozione, ricerca, divulgazione e conservazione). Il Comitato Parchi si impegna a sostenere eventuali future proposte di agevolazioni contributive e fiscali alle Proprietà, in ragione dei servigi ecologici, dei benefici socio-economici e dell’utilità pubblica dei Rifugi Naturalistici.

9.- L’Adesione diventa operativa dal momento in cui viene sottoscritta, e quindi resa nota al Comitato Parchi, e vengono apposte le relative Tabelle. L’Adesione può essere modificata o revocata in qualsiasi momento, con le stesse modalità, da parte della Proprietà. 10.- Per qualsiasi consultazione o approfondimento, la Proprietà può rivolgersi liberamente al Comitato Parchi, ponendo quesiti, richiedendo collaborazione e sostegno, e segnalando fatti di rilievo.

Per fare un tavolo

Articolo già apparso con il titolo “Abbiamo perso la cultura del bosco” sulla Rivista Villaggio Globale-Dicembre 2023

«Per fare un tavolo», dice una canzone, «ci vuole il legno» continuando con «per fare il legno ci vuole l’albero». Questo motivo così educativo echeggiava nelle scuole fino a non tanto tempo fa, perché fa capire da dove proviene uno degli elementi su cui si basano le Civiltà: il legno. Magari lo dovrebbero cantare i «grandi» di oggi che forse hanno dimenticato qualche passaggio, per esempio che «per fare l’albero ci vuole il bosco». Chissà se qualcuno pensa che il bosco sia davvero quello propagandato ultimamente, sempre più impoverito con attività anacronistiche spacciate per «green»? Magari si pensa che il legno sia sempre disponibile, che venga da un’industria senza limiti, oppure che l’albero stia al nostro servizio a darci tutto, aria, acqua, legno e legna in perpetuo, a prescindere da come lo trattiamo. Effettivamente l’albero continua a fare il suo, a fatica, anche per noi, ma noi cosa stiamo facendo per l’albero? L’espressione «servizi ecosistemici» legata a madre natura la dice lunga, ci fa capire che il linguaggio imposto è arrivato al punto da ritenere che gli alberi stiano lì al servizio nostro. In realtà questa concezione è assimilata ad altre antecedenti come l’antropocentrismo, ma almeno esso considerava l’uomo al centro del Creato, come una sorta di custode che amava una Creazione, appunto, voluta da Dio in quanto essere superiore. Oggi i superiori saremmo noi che ci siamo lasciati alle spalle anche il divino, così da non avere più intralci quando si interviene in ambienti come i boschi. Il linguaggio di conseguenza è cambiato a favore del consumo sfrenato delle risorse. Qualche alberello qua e là sono diventati un bosco, delle frasconaie sono considerate «bosco», dei terreni devastati da cingolati sono ancora «bosco». Boschi da tutte le parti, boschi che compaiono a dismisura in una visione artefatta che porta ad affermare che la superficie forestale italiana sia addirittura aumentata negli ultimi decenni, quindi a giustificare il fatto che possiamo tagliare a tutto spiano. Molti continuano a spacciare la falsa notizia per funesti scopi mentre altri sembrano esserci rimasti sotto, senza tornare alla realtà. Questa confusione ha fatto perdere alla società la conoscenza delle basi su cui si reggono gli equilibri della natura. Siamo sicuri che con una simile ignoranza il legno sarà sempre garantito?
Il legno è una risorsa che merita riconoscimento perché sarà sufficientemente disponibile solo custodendo l’ambiente, non depredandolo. Si dice, un po’ per alleggerirsi le colpe, che le antiche civiltà devastassero le foreste per procurarsi il legno; ma non è proprio così. Esse veneravano e, soprattutto, temevano i luoghi naturali, quindi prima di agire chiedevano e poi riparavano ai danni di fronte agli dei. Si potrebbe pensare ai boschi sacri di tutto il mondo ed all’esigenza di protezione della natura che in antichità era avvertita, nonostante che ce ne fosse stato meno bisogno di ora. Per i romani i «Lucus» erano quasi inaccessibili mentre nelle «Silvae» era concesso tagliare. Questo è stato un sistema di conservazione in un Impero che di legno ne ha utilizzato tanto. Lo stesso vale per altre civiltà che vedevano la sacralità della natura temendo le rappresaglie degli dei di fronte alle iniquità degli uomini. E tutte le Civiltà avevano al centro un albero. L’albero ci accompagna sempre, dallo Yggdrasil celtico, all’Huluppu di Gilgamesh, all’albero Sacro dei nativi Americani fino a quello del giardino
biblico. Moltissimi Comuni italiani hanno come simbolo un elemento floreale, ma anche delle Nazioni. Oggi a cosa pensiamo guardando un albero? Ad un «servizio»? Eppure con cosa sono sorretti i tetti di tante abbazie? Con enormi travi di legno, un legno che nei nostri tempi si faticherebbe a reperire per opere parimenti grandiose perché i boschi sono stati spogliati dei loro patriarchi vegetali. Nessun costruttore di cattedrali avrebbe mai chiamato le travi del tempio un «servizio».
I grandi alberi un tempo venivano abbattuti, sì, ma almeno erano arrivati ad essere plurisecolari e ce n’erano tanti. Non esistevano ancora i turni corti che abbiamo oggi nella forma di governo del bosco ceduo. Spesso quando si abbattevano grandi alberi era per finalità ritenute di alta levatura. Attorno al legno c’erano le maestranze, mestieri nobili e tutta una cultura, una tradizione ormai abbandonate.
Quindi il legno è cultura. L’utilizzo di termini linguistici inappropriati per celare i veri scopi significa odiare l’albero, quindi essere affetti da impulso di morte. Sì, questa paura dell’elemento arboreo, paura della fonte del sostentamento non è altro che una malattia.
L’attuale pseudo-civiltà vuole morire e lo dimostra il suo modo di rapportarsi con la natura. Ciò crea oblio ed appetiti irrefrenabili per colmare un vuoto interiore. Succede proprio oggi in cui si fa un gran parlare dei cambiamenti climatici divenuti anch’essi slogan utilizzati dai nemici dei boschi come operazione di facciata. Si è arrivati a dare la colpa dei cataclismi a chi accende la stufa della sua casetta mentre si continuano a devastare i boschi eliminando ben altre quantità di CO2 rispetto all’accenditore di stufa.
L’utilizzazione delle foreste è necessaria per noi, non di certo per le foreste. Essendo necessaria è inutile condannare a prescindere od intralciare chi cerca di utilizzare tali risorse per un’economia sana fin quando si autorizzano i peggiori scempi. Il rapporto con i prodotti del bosco per la propria sussistenza ha fatto parte di ogni civiltà e forse ha ragione Thoureau quando dice addirittura che l’attività del boscaiolo, se praticata col necessario rispetto, potrebbe essere considerata parte del processo di incivilimento dell’uomo.
Purtroppo oggi il rispetto manca completamente e l’uomo precipita nella peggiore barbarie. Da quando l’uomo è comparso si è scaldato grazie al legno, non necessariamente devastando le foreste, altrimenti non saremmo ancora qui. È proprio autorizzando l’eliminazione massiccia del manto verde sovente ad opera di chi piange i cambiamenti climatici che si creano le catastrofi, le alluvioni, il caldo insopportabile laddove fino a poco fa era sopportabilissimo. Appena succede una catastrofe «naturale» come un’alluvione ecco il politico di turno che si rifugia dietro ai cambiamenti climatici senza mai prendersi un po’ di responsabilità, evitando magari di riconoscere che a monte c’è una gestione scellerata dei boschi oppure che i fiumi sono stati costretti a passare in
uno spazio inadeguato.
Non c’è mai nessuno che prima di dare la colpa alle calamità «naturali» o di buttarla in caciara non spenda una parola sui piani di gestione da rivedere o sulla manutenzione del territorio non eseguita. Così non si combattono i cambiamenti climatici, ma se ne diventa parte. Fanno sempre le vittime dando la colpa a tutti ed a nessuno, individuando come responsabile della calamità tutta l’umanità, ma guai a riconoscere le proprie mancanze.
Se non si diventa coscienti della malattia che porta a odiare tutto ciò che è bello e vitale continueremo a distruggere la nostra casa (del greco oikos da cui prende il nome l’«ecologia»), quindi continueremo a distruggere noi stessi. «Per fare un tavolo» non dovrebbe più essere cantata solo nelle scuole ma anche in qualche Consiglio Comunale, Regionale ed oltre perché forse da quelle parti non è chiaro come funziona il ciclo naturale. Bisogna ripartire dall’ABC, laddove non c’è malafede. Altrimenti la lezione l’avremo lo stesso, ma meno dolce perché, diceva il filosofo Francesco Bacone, alla natura si comanda soltanto ubbidendole.


Antonio Pacini

La Favola dei Biforcuti e dei Fini che liberarono il villaggio

Tanto tempo fa, in un paese lontano lontano, c’era un villaggio abitato da un popolo caduto sotto un malvagio incantesimo. Questo popolo si divideva in tre caste. C’era la casta dei Babbaloni -la più grande- completamente vittima dell’incantesimo. C’era, poi, la casta dei Confusi ed infine la casta dei Fini. In realtà c’era anche una quarta casta, esterna al popolo, quella dei Biforcuti. Erano proprio loro gli autori dell’incantesimo. I Biforcuti prendevano il nome dalla loro lingua e dalla capacità di comportarsi come buoni, eroici e gentili quando invece erano arroganti, pappe molli e cattivi. Il loro nome, però, veniva celato per far credere ai Babbaloni che si chiamassero “Casta dei Buoni”. I Fini non erano molti ma erano immuni all’incantesimo, sapevano riconoscere nettamente i Biforcuti e facevano paura a quest’ultimi perché sempre più abitanti venivano da loro sottratti alle malie. Venivano pertanto dipinti come brutti e cattivi affinché i Babbaloni pensassero che il loro nome fosse “Casta degli Orchi”. I Confusi percepivano che nel villaggio c’era qualcosa che non andava ma tanta era la propaganda e tante le malie che non riuscivano a trovare il bandolo della matassa e così, incattiviti, se la prendevano con i loro amici della Terza Casta, che tentavano di farli uscire dalla fattura. Si avvicinava il giorno del Gran Consiglio che avrebbe eletto la nuova Compagine reggente. I Fini rappresentavano una vera minaccia per le trame della Quarta Casta tant’è che essa escogitò un subdolo piano. Mandarono degli emissari alle riunioni del nemico facendoli apparire come buoni, competenti ed amichevoli. Erano creature della loro stessa razza che un tempo avevano governato e con cui, da periodi immemori, si alternavano la sorveglianza dell’incantesimo. Incominciarono a seminare zizzania, ad infondere dubbi, a dire in disparte ai partecipanti più sprovveduti che tra i Fini si celavano gli Orchi e che bisognava fare un’unica Compagine. Tutti si dissero d’accordo ed anche i Fini rimasero aperti a tale possibilità, seppure restando in guardia. Infatti le riunioni continuarono ma gli emissari volevano farle chiuse, a gruppetti, nelle stanze segrete così da rafforzare la teoria sugli Orchi e sul pericolo incombente per il villaggio. Cominciarono a dire che la Compagine si doveva fare ma senza Orchi, senza il loro simbolo e senza la loro bandiera. Inoltre il capo doveva essere uno scelto da loro, che non doveva essere troppo Orco. I Fini avevano capito dall’inizio lo sporco gioco ma ovviamente a questo punto si risentirono, non potevano continuare a farsi denigrare insieme al loro simbolo che rappresentava un lavoro di anni. Ma gli emissari insistevano, facevano perdere tempo prezioso mentre il Gran Consiglio si avvicinava; urlavano alle riunioni, votavano contro la maggioranza dicendo che era infestata di Orchi, quindi per loro il voto non doveva valere. Presero di mira coloro che da anni lavoravano per il villaggio insinuando, alle riunioni ristrette e in loro assenza, che avrebbero dovuto addirittura mettersi da parte. Poi sembrava che un compromesso si fosse raggiunto ma qualcuno non fece recapitare il messaggio giusto uccidendo il piccione viaggiatore, mettendo in bocca ad una cecca una epistola artefatta. Con tali presupposti l’unione non fu possibile. Avrebbe potuto essere possibile solo con la fagocitazione della Compagine storica dei Fini, con il loro annullamento allo scopo dell’impossessamento dei Biforcuti di tutti i loro sostenitori che – ignaramente- avrebbero votato per l’ennesima volta i detentori dell’incantesimo. Questo non fu permesso perché a costo di apparire brutti e cattivi, a costo di essere colpevolizzati alcuni si sacrificarono portando in salvo la Compagine storica. Una Compagine che rappresentò un vero argine, un grande incomodo al bipolarismo dei Biforcuti. Le Profezie dicono che in un Rifugio Sicuro ci siano dei valorosi Cavalieri della Casta dei Fini che stanno preparando un potente Contro-Incantesimo. Il suo nome è “Disincantesimo” e serve a disilludere gli abitanti del lontano villaggio. Si tratta di farli tornare a vedere ciò che accade palesemente sotto ai loro occhi ancora annebbiati. Sembra che sarà attuato proprio quando la Quarta Casta penserà di aver soggiogato l’intero popolo. Allora tutto apparirà chiaro. Gli Orchi appariranno finalmente degli sfolgoranti Cavalieri e le Orchesse delle luminose Fate. I “Buoni” vedranno sciogliersi la maschera rimanendo nudi con il loro vero volto, un volto spigoloso, saccente con un ghigno tipico di chi manca di empatia. Per i Cavalieri non sarà di certo una visione nuova ma molti ex Confusi vedranno per la prima volta, entrando nelle schiere dei Fini per lottare fino alla liberazione del villaggio. I Babbaloni rimarranno sempre Babbaloni. Porgendo l’orecchio a terra in un punto preciso dell’abitato sembra di sentirli arrivare, con lo scalpitio dei loro cavalli. Come un fiume sotterraneo in piena sembrano scendere dai monti a portare via i traditori lasciando integri gli onesti di spirito. Qualcuno afferma che al prossimo Gran Consiglio ci sarà una sorpresa e che sarà proprio quello il momento della cacciata dei Biforcuti. Una parola si leverà come voce dalle foreste, dai venti e dal cuore della terra. La parola sarà: Grazie. Seguirà un periodo creativo di fiducia, di rinnovata felicità per il villaggio ed oltre.

Antonio Pacini

Immagine: La regina delle fate con il principe Artù, 1788; Johann Heinrich Fussli