Il Poeta Mario Luzi tra l’Amiata e la Val D’Orcia

di Antonio Pacini

L’artista è tale per le esperienze che ha fatto. Spesso l’artista rimane latente dentro all’uomo finché non prorompe con tutta la sua potenza creativa. A volte una sensazione ci rimane dentro e nutre le nostre azioni, le fa diventare grandi fino a una loro più vasta manifestazione. E la fanciullezza è il periodo cruciale dell’esistenza, dove la grazia può discendere nell’uomo per poi guidarlo nella vita. Nel nostro piccolo -e la legge del “minimo stimolo” ci dice che il piccolo tanto piccolo non è- in questa montagna abbiamo posto le condizioni per il manifestarsi di grandi eventi ed abbiamo inspirato grandi personaggi. Ne abbiamo parlato e ne parleremo ancora. Tra questi grandi personaggi ci sono anche i poeti. Uno di loro è Mario Luzi. Così come Giosuè Carducci anche Luzi trascorse le dorate ore della sua infanzia e dell’adolescenza nei nostri luoghi. Più precisamente a Semproniano -o meglio Semprugnano, come preferiva chiamarlo- paese di origine dei genitori. Quel bambino tornerà sull’Amiata, tornerà ben accudito dentro ad uno dei poeti più importanti del ‘900 candidato più volte al Premio Nobel per la Letteratura. Tornerà soprattutto a Pienza, dove amava passare l’estate, alla quale fece dono di parte del suo archivio personale oggi custodito dal Centro Studi La Barca. E fu da Pienza che scrisse le righe che ci accingiamo a riportare. In tale scritto, dopo una sublime descrizione del paesaggio della terra orciana ,definita come “il luogo del sogno”, il poeta porta l’attenzione sul profilo del Monte Amiata che si pone davanti alla sua finestra:

Invece il profilo del Monte Amiata, che guardo dalla finestra, a Pienza, è come una visione della memoria, filtrata attraverso il tempo. Proprio il suo profilo, appare talmente delicato che non è più una montagna, è una forma dell’avventura umana: potrebbe essere la montagna del Purgatorio, il Paradiso terrestre. Una straordinaria epifania.

 

E’ difficile non lasciarsi trasportare da questi versi che ci rammentano come all’interno del “luogo del sogno” ci abitiamo noi, fortunati eppure tormentati dai troppi che non si rendono conto del loro “privilegio d’anagrafe”, così da tramutarlo a volte da sogno ad incubo quando si vedono azioni nefaste -e ce ne sono tante- compiute ai danni delle sue risorse e della sua soave bellezza. Una bellezza che il mondo anela e di cui ha sempre più bisogno. Dai versi del poeta ci viene spontaneo il paragone con un altro grande di quello stesso luogo geografico che l’ha inspirato: Enea Piccolomini, Papa Pio II. Anche lui, il Papa umanista, cinquecento anni prima guardava il profilo dell’Amiata e come in una visione ascetica vi intravvedeva il Paradiso, il “Soggiorno dei beati”. In fondo si può andare lontano, fare tanta strada, diventare Papi o senatori (il nostro Luzi lo era, ma è uno degli aspetti più irrilevanti della sua persona) ma i luoghi che ci ha nutrito spiritualmente esercitano sempre un diritto verso di noi, la legge -dice un filosofo- dell’Appartenenza. “E alla fine, inevitabile, è il ritorno”.

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