Approfondimenti sul “Costituto Badengo”

Dopo l’articolo “La Magna Carta dei badenghi” apparso su Vitriol il 21 maggio 2020, a firma Antonio Pacini, abbiamo il piacere di ospitare il contributo di Mario Pesenti per allargare le conoscenze legate al “Costituto badengo”. Le informazioni giunte fino a noi le dobbiamo anche a studiosi purtroppo poco conosciuti dagli abitanti di Abbadia, eppure di grandissimo valore come Odile Redon e Wilhelm Kurtze. Rimaniamo aperti a chiunque vorrà mandarci contributi, o chiederà di collaborare con noi, per imprimere sempre di più questo ed altri gloriosi momenti storici nella memoria dei badenghi moderni. Nel ringraziare chi ha già aderito ravviviamo la proposta di creare un gruppo operativo per proporre l’inseririmento della rievocazione del Costituto come momento principale della manifestazione medievale di Abbadia; manifestazione che coincide esattamente con la stessa settimana e con lo stesso periodo storico del nostro “Costituto”.

Intanto, buona lettura. (Vitriol)

 

di Mario Pesenti

Leggendo la traduzione della “Magna Carta” amiatina pubblicata sul sito vitrioldotblog.wordpress.com ho voluto riguardare il testo originario in latino. Ho ripreso in mano il libro della compianta (e poco ricordata) storica francese e amica di Abbadia Odile Redon Uomini e comunità del contado senese nel duecento. In questo volume antologico sono raccolti e tradotti in italiano quattro saggi apparsi separatamente tra il 1975 e il 1979 più in quinto scritto nel 1980.

Quello che interessa qui è il quarto, Signori e comunità rurali del contado senese nel XIII secolo, nel quale, alla luce della documentazione d’archivio, viene esaminato singolarmente il rapporto tra comunità rurale locale e i suoi signori. In appendice viene pubblicata la trascrizione delle varie carte (in ordine di redazione partendo da Tintinnano (Rocca d’Orcia) 1207, Abbadia San Salvatore 1212, Montisi 1218, Torniella 1233, Montepinzutolo-Monticello (Amiata) 1240, Abbadia San Salvatore 1251, Trequanda 1254, Montelaterone 1289, Abbadia San Salvatore 1299, Monticello 1311.

Salta subito all’occhio che la maggior parte dei documenti riguardano il monastero di San Salvatore al M. Amiata e i suoi possessi (Abbadia, Monticello, Montelaterone) e uno è legato in qualche modo ad esso da motivi di dipendenza religiosa (Tintinnano), i cui signori appartenevano alla famiglia dei Tignosi, la stessa dell’abate amiatino Rolando. Geograficamente tutte le località sono situate a sud rispetto a Siena – tranne Torniella posta ad ovest, ma comunque controllata da un signore della consorteria degli Aldobrandeschi.

Non è per spegnere certi facili entusiasmi suscitati dalla pubblicazione della traduzione della carta amiatina del 1212 ma bisogna tener presente che la Carta di Tintinnano è di 5 anni precedente ed è molto più articolata. Comunque la nostra ha la sua importanza da non trascurare e vedremo come possa nascondere al suo interno altre informazioni capaci di retrodatarne il contenuto.

La traduzione risulta limitata e imprecisa tralasciando degli elementi che invece risultano essenziali per datare i diritti dei badenghi. Il testo originale è il seguente:

I – de facto consulatus: quod eo usu vel ordine, quo a longis retro temporibus usque ad hec tempora de permissione predecessorum nostrorum habuistis et a nobis nostro tempore, ita de cetero de nostra concessione habeatis, salvo ecclesie iure, et teneatis. Et hoc ad sanum et purum intellectum partis utriusque.

 

Mi permetto di dare una diversa traduzione senza voler passare avanti a nessuno.

 

I – Riguardo al consolato: ciò che per diritto di consuetudine o di normativa, nel modo che da molto tempo indietro fino a oggi avete avuto dai nostri predecessori e da noi attualmente, allo stesso modo da parte nostra vi sia concesso e lo manteniate, fatti salvi i diritti della chiesa. E questo perché sia chiaro e trasparente ad ambedue le parti.

 

Ho evidenziato due parti perché mi sembra chiariscano alcuni aspetti fondamentali: il primo riguarda il fatto che il consolato era diventato un dato acquisito sia dal punto di vista normativo che consuetudinario e come tale accettato dalle parti; l’altro, più intrigante almeno per me,  è la collocazione temporale del fenomeno di cui dice che da molto tempo indietro fino a oggi. Ebbene già questa espressione lascia pensare che da un tempo remoto il sistema del consolato esisteva.  La frase successiva avete avuto dai nostri predecessori non lascia spazio all’immaginazione: la struttura consolare esisteva da tanto tempo. Ma da quando? L’espressione nostri predecessori può avere un duplice valore: o essere un plurale maiestatis e quindi riferirsi al predecessore oppure rimandare ad un tempo più remoto. Già alla fine di un documento del 1192 con il quale Griffolo di Campiglia cede in pegno all’abate Rolando la quarta parte della selva di Decimella a patto che i suoi continuino a godere il diritto di farvi cetine, cioè di tagliarlo come era consuetudine. E fornisce i nomi di tre fideiussori: Oliviero di Campiglia, il prete Grolli e suo figlio Alessandro. Da parte sua a garanzia della validità dell’accordo, Rolando chiama come testi, Sigibottus, Scolarius Grolli, Ranucius monaci, Bisi (o Bifi), Baimondus e Romanus, CONSULES. Poiché l’atto è stipulato ante portam predicte ecclesie sancti Salvatori, è lecito supporre che gli ultimi personaggi fossero presenti come rappresentanti della comunità del Castrum Abbatiae.

E già possiamo anticipare l’istituzione del consolato. Kurze in CDA III/2, p. 445, fornisce un elenco degli abati ricavato dalla documentazione studiata fino al 1198 data in cui termina il lavoro di raccolta. Scorrendo i nomi degli ultimi tre abati abbiamo una sorpresa: dopo il nome di Ranieri abate presente in atti che vanno dal 1145 al 1155 troviamo prima l’abate Giovanni il cui nome si trova in due documenti del 1663, dal 1188 in tutti i documenti che arrivano fino al 1198, data in cui termina il CDA, incontriamo il nome dell’abate Rolando che poi è lo stesso che firma la carta dei diritti di Abbadia. Sarà sempre lui che contratterà nel 1228, dopo un intermezzo dal 1220 al 1225 nel quale da alcuni documenti risulta abate Galgano, il passaggio del monastero dai benedettini neri ai cistercensi ritagliandosi come prebenda la Chiesa di S. Ma­ria Mad­dalena di Vi­ter­­bo.

Quindi almeno all’epoca dell’abate Giovanni la struttura consolare già esisteva nel Castrum Abbatiae, cioè ante 1188, pressappoco almeno 25 anni, se non più avanti, prima della data di stesura del documento.

Questo permetterebbe di anticipare anche l’esistenza del Castrum, finora attestata nell’atto di sottomissione dei territori del monastero a Orvieto del 1203. Personalmente che si possa anticipare dell’altro la fondazione del paese. Le due iscrizioni dei secc. XII-XIII sul dorso di un elenco di debitori del XII secolo (um 1100, intorno al 1100) pubblicato da Kurze in CDA/V a pag 162 indicano “Pensiones s(an)c(t)i Salvatoris” e “Pensiones … quas solvere debent ho(m)i(n)es de abbatia

Non sarebbe nemmeno da escludere la leggendaria data del 988 come momento di creazione del paese da parte dell’abate che, per motivi di sicurezza, aveva chiamato ad abitarvi i residenti di Pian della Troiola, di Castel della Pertica e di Casa Fabbri. Un affresco su una parete della sala capitolare andata poi distrutta ricordava la fondazione del castello, almeno stando agli scritti del Pecci e del Paolozzi.

Un’ultima notazione: due parole sulla presenza dei consoli e di altri personaggi orvietani presenti alla stesura dell’atto. Il monastero e il paese gravitavano da tempo nell’ambito della cittadina umbra, almeno da quando era entrato in crisi la signoria territoriale degli abati. Per difendersi dai tentativi di cadere sotto la loro supremazia degli Aldobrandeschi e altri signori circostanti, Visconti di Campiglia, Tignosi di Tentennano, Montenero e Monticello, Manenti di Sarteano e considerando la quasi impossibilità di ricorrere al proprio difensore naturale, l’Imperatore (va sempre tenuto presente che era pur sempre un’abbazia regia e come tale sottoposta al controllo diretto dei sovrani tedeschi e svincolata da quello papale), l’abate Rolando non trovò altra soluzione porsi sotto la protezione dell’unica potenza locale capace di garantire l’autonomia feudale ed economica del cenobio. Orvieto, forte dell’alleanza con Siena, troppo lontana dalla montagna, conosceva uno sviluppo militare e politico tale da permetterle, dopo il 1202, di assumere il controllo dei territori compresi tra la val tiberina e il mare, di imporre ai conti di Aldobrandeschi la sua mediazione nella divisione ereditaria dei beni, di occupare la val di Paglia e di Chiana fino a Chiusi, Sarteano e Chianciano e di mettere sotto protezione la montagna.

Altre considerazioni andrebbero fatte sul documento, per esempio sulla figura dei quattro massai, istituzione che aveva il compito di regolamentare gli accordi tra monastero e abitanti relativi alle corvées da fornire a favore del monastero o all’obbligo di far pascolare greggi e mandrie sui terreni ecclesiastici al fine di concimarle (stabbiatico) o al taglio dei castagni. In pratica il Monastero si rimette alla parola e autorità di quattro rappresentanti degli abitanti, che però è tanto importante da poter mettere in discussione la politica economica e l’autorità dell’abate.

Per ora mi limito a queste riflessioni che spero di poterle far seguire da altre. Mi sono permesso di rivedere la traduzione di Contorni (senza presunzione d volerla correggere) perché presentava alcune imperfezioni, mettendola a confronto con l’originale ricavato dal testo di Odile Redon, Signori e comunità rurali, pubblicato in: Odile Redon, Uomini e comunità del contado senese nel duecento, Siena, 1982, pp. 144-145

Altre opere consultate: Imberciadori I., Amiata e Maremma; Fumi L. (a cura di), Codice Diplomatico di Orvieto; Lisini A., R. Archivio di Stato in Siena – Inventario del Diplomatico; Kurze W., Corpus Diplomaticus Amiatinus; ABBADIA SAN SALVATORE, Comune e Monastero in testi dei secoli XIV-XVIII.

Ecco il testo della lettera, con relativa traduzione:

In nomine dei eterni, anno eius MCCXII, imperante domino Octone, Romanorum imperatore, die Sabbati II Idus Iulii, indict. XV.

In nome di Dio eterno, nel suo anno 1212, sotto la sovranità di Ottone, imperatore dei Romani, in questo secondo sabato delle idi di Luglio, Indizione XV.

Noscat presentium etas et futurorum posteritas, qualiter ego Rollandus, abbas Sancti Salvatoris, una cum Fratribus meis infra scriptis, presenti instrumento vobis Petacio et Merisio, Castri Abbatie consulibus, tam pro vobis quam pro toto Comu­ni predicti castri recipientibus, primo capitulo petitionum vestrarum duximus re­spondendum, videlicet,

Sia noto a tutti i presenti e ai posteri in che modo io Rolando, abate di San Salvatore, con i miei confratelli sotto citati, col presente documento a voi Petacio e Merisio, consoli del Castrum Abbatiae, che ricevete sia a nome vostro che per conto di tutta la comunità di detto castello, intendo rispondere al primo capitolo delle vostre richieste, ossia:

I – de facto consulatus: quod eo usu vel ordine, quo a longis retro temporibus usque ad hec tempora de permissione predecessorum nostrorum habuistis et a nobis nostro tempore, ita de cetero de nostra concessione habeatis, salvo ecclesie iure, et teneatis. Et hoc ad sanum et purum intellectum partis utriusque.

1 – Riguardo al consolato: ciò che PER DIRITTO DI CONSUETUDINE O DI NORMATIVA, nel modo che DA MOLTO TEMPO INDIETRO FINO A OGGI AVETE AVUTO DAI NOSTRI PREDECESSORI e da noi attualmente, allo stesso modo da parte nostra vi sia concesso e lo manteniate, fatti salvi i diritti della chiesa. E questo perché sia chiaro e comprensibile per ambedue le parti.

II – Item concedimus: quod pater filio et e con­verso, patruus vel avunculus suis ne­po­ti­bus masculis sive feminis et e converso sua bo­na omnia relinquat; et abinde in antes sit ad be­ne­placitum domini Abbatis pro tempore exi­sten­tis. Ita quidem quod, quacumque morte quis decesserit, alter alteri decedat 1, ut dictum est.

2 – parimenti concediamo che il padre lasci tutti i suoi beni al figlio e viceversa, lo zio paterno o materno ai loro nipoti maschi o fem­mine e viceversa; e d’ora in poi sia così con il be­neplacito dell’abate in carica. Così, qua­lunque sia la causa di morte, vi possa essere la successione tra gli eredi, come si è detto prima.

III – Concedimus insuper vobis: ut hii qui nobis debent angarias et operas quod, tertia parte earum eis dimissa, reliquas duas partes nobis vel VIII – octo – de­narios pro opera exolvant. Insuper etiam concedimus, ut sacramento IIII massario­rum antiquorum de predicto castro decernatur qui nobis soliti sint dare gandia, et eorum fide committimus terminandum.

3 – vi concediamo inoltre che coloro che ci devono servizi e opere, eccettuata la terza parte lasciata loro, per le rimanenti due parti ci paghino otto denari al posto delle opere.  Inoltre concediamo anche, come si vede dall’accordo dei vecchi quattro massari del predetto castro, a coloro che sono soliti dare la ghianda che si ponga fine al loro obbligo

IV – Item de soccida idem concedimus, ut supra de angaria vel opera diximus. De servitiis equidem, que antiquitus nobis fiebant et redacta sunt ad pensionem per XXX vel XX aut X annos preteritos, sic concedimus stare pro futuro, prout nunc sunt, et nulla pena teneat debita vel indebita, nisi quam dominus pro tempore exi­stens vel ipsius certus nuntius duxerit inponendam. Taliter autem de indebitis exac­tionibus, videlicet de suprafactis vobis annuentes, quod quilibet sui sacramento preheunte redimatur, si oportuerit.

4 – così pure per quanto riguarda la soccida concediamo quanto abbiamo detto sopra riguardo ai servizi e alle opere. Riguardo ai servizi però, che ci erano resi nei tempi antichi e che sono scritti nelle liste degli obblighi, ma che per 30 o 20 o 10 anni non sono stati resi, concediamo che siano sospesi per il futuro, così come lo sono attualmente e si ritenga an­nul­lata ogni pena debita o indebita, se non quella che il padrone in carica al momento o suo incaricato non ritenga di imporla.   Similmente circa le indebite esazioni, cioè a quelle a cui accennate, se necessario, chiunque sia sciolto dagli accordi precedenti.

V – Item de omnibus tenimentis ita vobis concedimus, ut liberam potestatem habeatis vendendi, donandi et obligandi; salvis tamen integre servitiis, que exinde nobis debentur. Ita sane quod nulli suspecte persone, vel qui non esset predicti ca­stri cohabitator, fiat venditio vel donatio aut obligatio ipsa.

5 – parimenti riguardo ai possessi vi con­ce­dia­mo di avere libera potestà di vendere, donare e im­pegnare; fatti salvi tuttavia per intero quei ser­vizi, che in seguito ci spettano. Così cer­ta­men­te non si vendi, doni o impegni a nessuna per­sona sospetta, o che non abiti nel suddetto ca­stro.

VI – Item de feudatariis taliter concedimus et statuimus quod si equus feudata­rii mortuus fuerit apud nos vel magangnatus, secundum ecclesie consuetudinem re­sarciemus.

6 – allo stesso modo a proposito dei feudatari concediamo e stabiliamo che se un cavallo di un feudatario viene ucciso o ferito il pro­prie­ta­rio sarà risarcito secondo gli usi ecclesiastici.

VII – Hii autem qui stabiatum faciunt, hinc ad V annos expletos facere non teneantur, ex tunc vero sacramento IIII massariorum decernatur qui facere illud de­bebunt.

7 – per coloro inoltre che fanno lo stabbiatico, non siano obbligati a farlo nei prossimi cinque anni, da ora in poi con giusto accordo dei quat­tro massarii si individui coloro che sono ob­bli­ga­ti a farlo.

VIII – Idem dicimus de castaneis quod, declarato sacramento ΙΙΙΙ massariorum legalium predicti castri, de quorum castaneis consuevit ecclesia incidere cum op­portuerit, ab inde in antes de illis accipiemus pro imminenti necessitate domus, et non pro aliis dare personis.

8 – la stessa cosa vale per i castagni, in base al citato accordo dei quattro massarii ufficiali del predetto castello, che la chiesa di solito tagliava a suo piacere, d’ora in poi se ne taglieranno solo quelli che sono necessari alla casa e non per venderli ad altre persone.

IX – Publice insuper promittimus vobis: quod ab hoc festo Cathedre Sancti Petri usque ad duos annos expletos totum exolvemus quod extra Terram nostram debitum esse dignoscitur, et hoc sine aliqua dampnitate vel molestia vestra.

9 – inoltre vi promettiamo pubblicamente che a partire dalla festa di san Pietro di quest’anno entro due anni pagheremo tutti i debiti risultanti fuori della nostra Terra e ciò senza alcun danno o molestia verso di voi.

Et ut hec omnia firma in perpetuum existant, publicum instrumentum exinde fieri iussimus et manu publica denotari.

E affinché tutte queste cose rimangano fissate per sempre, ordiniamo che ne venga steso uno strumento pubblico debitamente firmato.

Huic autem instrumento consenserunt presbiter Ugo et monachus, dominus Maurus, sacerdos et monachus, presbiter Palma, similiter et monachus, presbiter Bonus et monachus, dominus Guineldus, levita et monachus, dominus Guido, sub­diaconus et monachus, frater Emanuel, monachus, frater Bartholomeus, monachus, frater Alexander monachus; et conversorum consensus intercessit, videlicet istorum: Aliotti, Benincase et Iacobi.

Hanno inoltre dato il loro consenso a questo documento il prete e monaco Ugo, il signore Mauro, sacerdote e monaco, il prete Palma, anche lui monaco, il presbitero e monaco Bono, il signore Guineldo, levita e monaco, il signore Guido, suddiacono e monaco, fratello Emanuele, monaco, fratello Bartolomeo, monaco, fratello Alessandro, monaco; hanno dato il loro consenso anche i conversi, cioè Aliotti, Benincasa e Iacobi.

Actum est hoc in claustro ecclesie supradicte, in presentii horum testium, silicet: Oddonis Greci et Guilielmi Cornelle, consulum Urbeveteris, Petri Karominis, Oderisii Rainaldi, Bifulci, Abrigamontis Gani, Boncompagni Ranuccii de Arari ci­vium predicte civitatis, et Orlandini Alexandri de Aquapendente, et aliorum plu­rium ad hec rogatorum.

L’atto è stato redatto nel chiostro della sud­det­ta chie­sa in presenza di questi testimoni, cioè: di Od­do­ne Greco e Guglielmo Cornelle, consoli di Or­vie­to, Pietro Caromini, Oderisi Rai­nal­di, Bi­fulco, A­bri­gamonti Gani, Bon­com­pa­gno Ra­nucci de Arari cit­tadini della predetta cit­tà, e Or­landini Ales­san­dri di Acquapendente e di molti altri chiamati a questo.

Hec autem omnia, que supra leguntur, iuraverunt omnes homines Castri Abbatie firma in perpetuum pro se tenere, salva tamen reverentia in omnibus que abba­tie et Abbati pro tempore existenti debetur, et salva insuper fidelitate nostra.

Inoltre per tutte le cose delle quali si legge sopra giurarono di rispettarle in eterno tutti gli uomini del Castello di Badia, fatto salvo il rispetto verso coloro che vivono nell’abbazia e dell’Abate in carica, e fatta salva inoltre la fedeltà nei nostri confronti.

Ego Iacobus (Signum notarii) imperialis aule notarius, hiis omnibus interfui et, ut supra legitur scribere, scripsi rogatus atque complevi.

Io Iacopo (sigillo notarile) notaio imperiale, sono stato presente a tutto e, come sopra si legge, chiamato a redigere l’atto scrissi e pubblicai.

1 Decedat, per succedat?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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